Più volte abbiamo proposto pagine di approfondimento per la tredicesima mensilità. Come calcolarne l'importo? A chi spetta? Quando andrebbe corrisposta? In questa pagina abbiamo cercato di inserire tutte le informazioni principali e i link per approfondimenti specifici. Ecco la guida completa alla Tredicesima. Nata nel 1937, la tredicesima è una mensilità aggiuntiva che spetta a tutti i lavoratori subordinati (dipendenti) che abbiano un contratto a tempo determinato o indeterminato.
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- Tredicesima per astensione obbligatoria
- Interdizione anticipata e maternità
- Astensione obbligatoria: un diritto delle mamme lavoratrici
- Astensione obbligatoria in caso di parto prematuro
- Gli impieghi più a rischio per le gravidanze
- Come fare la richiesta di maternità anticipata
- Requisiti necessari per ricevere l'assegno di maternità
- L’assegno unico e universale 2023
Sono molti gli elementi da considerare per definire l'importo della tredicesima. In primis l'ammontare di questa mensilità dipende da alcune specifichi criteri di calcolo legati ad ogni c.c.n.l. Per calcolare nel dettaglio l'importo della tredicesima, visualizza la pagina: Elementi in base ai quali si matura e si calcola la tredicesima. oppure Calcolo della tredicesima
Prima di andare ad approfondire le varie ipotesi in cui si acquisisce il diritto alla tredicesima mensilitá in maternitá, ricordiamo che ciascuna lavoratrice dipendente in gravidanza ha diritto ad astenersi dal lavoro, conservando la retribuzione, per un periodo di cinque mesi complessivi. La dipendente puó scegliere in modo autonomo come "distribuire" questi cinque mesi, attraverso le formule 1+4 oppure 2+3. In particolare, restare a casa l'ultimo mese di gravidanza e i quattro successivi al parto (quindi 1+4) oppure due mesi precedenti al parto ed i successivi tre (cioé 2+3).
In base poi a ciascun contratto nazionale di riferimento, la neomamma puó decidere successivamente di continuare a stare in maternitá, sia dal terzo al nono mese del bimbo, usufruendo tuttavia di una retribuzione minore di circa il 30%, e sia dal nono al dodicesimo mese di vita del neonato, ma senza ricevere alcuna retribuzione, ma conservando il posto di lavoro. Comunque, come vedremo meglio in seguito, la differenza tra maternitá obbligatoria o facoltativa incide sul calcolo della tredicesima spettante alla lavoratrice.
Tredicesima per astensione obbligatoria
Il caso classico, quello riguardante la vecchia “astensione obbligatoria”, è detto banalmente “congedo di maternità o paternità”: in questo caso la tredicesima mensilità non subisce influenze a causa del congedo. Le lavoratrici dipendenti, di conseguenza, se in congedo di maternità hanno diritto alla completa tredicesima mensilità.
Un trattamento appena diverso riguarda il contratto collettivo, al quale si vede applicare una parziale trattenuta della tredicesima. Quella che invece si chiamava una volta “astensione facoltativa” è adesso denominata “congedo parentale”: per questo tipo di assenza la tredicesima mensilità non è contemplata tra i diritti del lavoratore. O meglio: vengono trattenuti tanti dodicesimi quanti sono i mesi di assenza.
Il vecchio allattamento, ultimamente chiamato semplicemente “riposi giornalieri” non apporta modifiche alla tredicesima. Il lavoratore che utilizza a suo usufrutto il diritto ai riposi giornalieri ha dunque diritto all’intero importo della tredicesima. Il caso di malattia del figlio, infine, non contempla il diritto alla tredicesima per i periodi di assenza dal lavoro: le trattenute sono quindi proporzionate al periodo di assenza dal luogo di lavoro.
Astensioni facoltative per maternità
Appurato quindi che le assenze per motivi di maternità incidono sul conto finale della tredicesima solo quando i periodi trattati sono quelli di astensione obbligatoria, ci rendiamo conto che la legge tutela le lavoratrici madri, alle quali è riconosciuto il diritto di potersi assentare dal luogo di lavoro per sei mesi all’interno dei primi otto anni di vita del figlio (assenza detta “astensione facoltativa”) e per i periodi concernenti le malattie del bambino, sempre per i primi suoi otto anni. Tali periodi di assenza, infatti, non portano con sé corrispettive detrazioni alla tredicesima mensilità.
Tredicesima in maternità: astensioni obbligatorie
L’assenza per astensione obbligatoria (quella che comincia due mesi prima del parto e termina tre medi dopo) contempla che l’azienda datrice di lavoro corrisponda, tramite l’Inps, l’80% dell’apporto della tredicesima mensilità per tale periodo. La maternità dunque resta un valore preservato dalle norme di legge.
Proviamo a fare un esempio per chiarire meglio quanto spetterebbe ad una lavoratrice, nel caso usufruisse della sola maternitá obbligatoria oppure vi aggiungesse anche quella facoltativa. Se il parto fosse previsto per il 1º Giugno e la gestante avesse scelto la formula della maternitá obbligatoria dell'1+4, la donna dovrá lavorare sino al 30 Aprile e, dopo il parto, si dovrá ripresentare in servizio dal 1º Ottobre. La tredicesima in maternitá, in questo caso, si calcola su nove mesi di lavoro in un anno, cioé primi quattro mesi di servizio a cui si sommano i cinque di maternitá.
E naturalmente, a questi si aggiungeranno poi i restanti mesi dell'anno. Nel caso, invece, in cui la lavoratrice volesse usufruire anche di questi ultimi mesi e quindi della cosiddetta maternitá facoltativa e quindi assentarsi per Ottobre, Novembre e Dicembre, allora tale periodo non varrá per il calcolo della tredicesima mensilitá. Il tutto conservando comunque il posto di lavoro. Bisogna chiarire che rientrano nel conteggio pure i mesi in cui una lavoratrice si sia assentata per un'eventuale maternitá anticipata, dovuta ad una gravidanza a rischio.
Interdizione anticipata e maternità
A seconda dei casi, bisogna procedere secondo i seguenti passi:
- nel caso di problemi di salute, la futura madre deve consegnare tra i documenti: domanda interdizione anticipata, certificato medico di gravidanza, certificato medico che confermi i problemi di salute che mettono a rischio la gravidanza stessa, altro materiale utile ai fini della domanda
- negli altri due casi elencati (ambiente di lavoro non salubre e impossibilità al cambio mansioni) la domanda può essere presentata dalla futura madre o dal datore di lavoro stesso.
Con la legge varata nel 2012, si sono semplificate le modalità per chiedere i rispettivi certificati alle future madri: la competenza infatti è suddivisa tra ASL di riferimento e Direzione Territoriale del Lavoro. Secondo le disposizioni legislative varate in materia, la ASL controllerà i casi più gravi, ossia quelli elencati nel primo punto precedente e che riguarda problemi di salute durante il periodo della gravidanza. Alla Direzione Territoriale del Lavoro invece spettano gli altri due casi elencati, condizioni lavorative ritenute non idonee o impossibilità dell’azienda a cambiare funzioni alla lavoratrice in gravidanza.
Altre informazioni utili
Il periodo della gravidanza è uno dei momenti più belli per la futura madre che da lì a poco cambierà completamente la sua vita. Nel caso di madre lavoratrice, è bene che lei si informi bene su tutti gli aspetti della maternità, dall’interdizione anticipata fino all’indennità. Ci sono infatti diverse regole e cavilli da conoscere e per esempio non a tutti è riconosciuta l’indennità. Il Sito dell’INPS dedica una sezione apposita a questo capitolo. Nella sezione “Tutto Famiglia” infatti sono dedicati diversi paragrafi a questo argomento, dall’indennità di maternità o paternità fino a tutte le tipologie di lavoratrici, a seconda che esse siano dipendenti, autonome, atipici o iscritti alla gestione separata dell’INPS. Per quanto riguarda l’indennità, qualora essa sia obbligatoria spetta per cinque mesi mentre qualora sia facoltativa il totale dell’arco temporale di cui se ne può usufruire è pari a undici mesi. Ma è consigliabile una lettera approfondita di tutti i casi specifici presenti sul sito ufficiale dell’Ente Previdenziale per capire in che misura muoversi.
Speriamo di aver chiarito i vostri dubi sull'interdizione anticipata dal lavoro per maternità.
Astensione obbligatoria: un diritto delle mamme lavoratrici
In caso di parto prematuro, la legge 53/2000 stabilisce che l’astensione obbligatoria dalle attività lavorative debba comunque essere di 5 mesi. Quindi se la lavoratrice-mamma non ha goduto del periodo pre-parto di 2 mesi, potrà aggiungere ai tre mesi post-parto i giorni non goduti prima del parto, nel limite massimo di cinque mesi. In caso di parto prematuro la lavoratrice dovrà presentare il certificato attestante la data del parto entro un mese dal lieto evento.
E’ un diritto della donna godere di questo lasso di tempo:
- durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto,
- nei 3 mesi successivi al parto.
Lavorare fino all'ottavo mese
In tal caso il periodo di astensione obbligatoria dalle attività lavorative sarà di un mese prima del parto e quattro mesi di maternità dopo la nascita del bimbo.
Quali documenti presentare al datore di lavoro per ottenerla?
Prima di questo periodo, la futura mamma dovrà presentare agli uffici INPS e al datore di lavoro i seguenti documenti:
- le domande per corrispondere l’indennità di maternità, complete della data di inizio dell’astensione obbligatoria dalle attività lavorative, come viene previsto dall’articolo 15 della legge numero 1204/71 e le successive modifiche,
- il certificato medico della gravidanza redatto sul modulo in dotazione alla ASL che indica, tra l’altro, il mese di gestazione (in data della visita) e la data presunta del parto.
Astensione obbligatoria in caso di parto prematuro
In caso di parto prematuro, la legge 53/2000 stabilisce che l’astensione obbligatoria debba comunque essere di 5 mesi. Quindi se la lavoratrice-mamma non ha goduto del periodo pre-parto di 2 mesi, potrà aggiungere ai tre mesi di maternità post-parto i giorni non goduti prima del parto, nel limite massimo di cinque mesi. In caso di parto prematuro la lavoratrice dovrà presentare il certificato attestante la data del parto entro un mese dal lieto evento. La flessibilità dell’astensione obbligatoria dal lavoro per la gestante può essere esercitata soltanto nel caso in cui sia un ginecologo del SSN e un medico competente per la salute nei luoghi di lavoro validino che tale scelta non pregiudichi la salute della gestante e del bambino.
Colf e padri
Oltre a prevedere un periodo in cui obbligatoriamente la futura madre deve astenersi dal lavoro, la Costituzione Italiana tutela le donne specificando al datore di lavoro l'impiego vietato o limitato in caso di gravidanza. Infatti, stando all'articolo 37, l'impiego può essere garantito solo se vengono consentite una serie di funzioni di tipo familiare e soprattutto che la mamma ed il suo bambino siano protetti e non vivano in una condizione di continuo pericolo.
Gli impieghi più a rischio per le gravidanze
L'astensione obbligatoria vale innanzitutto il lavoro notturno dalle ore 24 alle 6 per tutte quelle donne che hanno accertato il loro stato di gravidanza, fino a quando il bambino non compia i 12 mesi di vita. Fra le varie tipologie di lavoro di cui è fatto divieto alle donne incinte, abbiamo quelli pericolosi, faticosi ed insalubri, elencati nell'allegato A del Decreto numero 151/2001. Fra questi rientrano ad esempio i lavori che richiedono di stare in piedi per un periodo superiore a metà dell'orario di lavoro, oppure di utilizzare utensili che siano in grado di vibrare, oppure lavorare in reparti particolari come quelli per le malattie mentali, infettive e nervose.
Anche lavorare sulle navi o come pilota oppure assistente di volo per quanto riguarda gli aerei. Esiste anche un allegato B al suddetto Decreto, che proibisce alle donne incinte (e quindi solamente durante questo periodo di 9 mesi), di effettuare lavori che espongano a radiazioni o ad agenti particolari come quelli biologici e fisici. Anche l'esposizione ad agenti chimici è pressochè vietata, specie nel caso di lavori con il piombo o derivati dello stesso.
Naturalmente, viene fatto divieto alle donne incinta anche di effettuare lavori in luoghi sotterranei come le miniere.
Astensione obbligatoria per i papà: ecco come funziona e chi può richiederla
L’astensione obbligatoria dalle attività lavorative è un diritto delle mamme e funziona esattamente come lo abbiamo descritto fino a qui, ma una domanda potrebbe sorgere spontanea e in realtà appare sempre più diffusa negli ultimi anni, tanto che nel 2021 ha portato ad un aumento dei giorni disponibili per il congedo parentale obbligatorio per i neopapà. Sempre più uomini, una volta diventati padri vorrebbero a disposizione un periodo di congedo parentale dal lavoro che gli permetta di stare vicino al nascituro e alla propria compagna, ma purtroppo, ancora oggi, la strada sembra essere lontana. Tutti noi sappiamo quante ingiustizie si ritrovano ad affrontare le donne in ambito lavorativo durante la gravidanza e il post parto, ingiustizie che l’astensione obbligatoria dalle attività lavorative non riesce sempre a bilanciare, soprattutto per il tempo a disposizione e per le condizioni di ritorno.
Ma se l’astensione obbligatoria dalle attività lavorative delle neomamme non funziona perfettamente, quella dei neopapà sembra essere lontana anni luce. Tale congedo, occorre specificare, è operativo, allo stato attuale, per i dipendenti privati e i giorni a disposizione possono essere fruiti sia durante l’astensione obbligatoria dalle attività lavorative della madre oppure successivamente in maniera non continuativa.
Qualora voleste, ad esempio, ottenere il permesso durante il giorno del parto e i giorni immediatamente successivi allora questi vengono calcolati in base alla data presunta del parto. Se invece è l’INPS a pagare, allora sarà necessario presentare la domanda attraverso i canali dedicati direttamente all’Istituto. Come potrete intuire la strada da fare è ancora tanta, soprattutto per quelle famiglie in cui entrambi i genitori devono lavorare per poter portare avanti la famiglia e, come è facile notare, anche questi elementi influiscono pesantemente sulla possibilità di fare figli per i giovani di oggi.
Maternità anticipata per lavoro a rischio: come presentare la domanda
Oggi affrontiamo un tema caro a molte donne: la Maternità anticipata per lavoro a rischio.
Le lavoratrici che possono richiedere la maternità anticipata appartengono a diverse categorie contrattuali. Andiamo, dunque, a vederle nel dettaglio:
- dipendenti;
- Lavoratrici occasionali;
- associate in partecipazione;
- libere professioniste;
- Lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata (un particolare fondo pensionistico nato con la legge 335/95 di riforma dello stesso sistema pensionistico).
Tuttavia, il regime di maternità anticipata deve essere giustificato da gravidanza a rischio, che sia per complicazioni ovvero per condizioni morbose. Analizzeremo questi casi nei paragrafi successivi.
Salario durante il congedo per lavoratrici a rischio
- se il lavoro o il luogo in cui svolge la sua attività professionale non è salubre e mette a rischio la gravidanza
Come fare la richiesta di maternità anticipata
La lavoratrice in dolce attesa che lo richieda per motivi specifici (come quelli sopra citati) ha diritto alla maternità anticipata. In questo caso è necessario:
- entro 7 giorni avviene l’approvazione della domanda di maternità anticipata.
Il congedo di maternità, anticipata e obbligatoria, non compromette l’anzianità di servizio o le ferie maturate. Inoltre durante la maternità anticipata alla lavoratrice spetta la retribuzione totale.
La richiesta può essere effettuata in modi diversi a seconda dei casi:
- Gravi Complicazioni della Gravidanza e/o Preesistenti Condizioni Morbose:
La richiesta va fatta attraverso la presentazione di una serie di documenti, che devono essere consegnati al servizio ispezione del lavoro competente. In particolare, la lavoratrice deve presentare la domanda di interdizione anticipata dal lavoro, il certificato medico di gravidanza (redatto da ASL), il certificato medico del ginecologo che attesti la presenza di complicanze gravi e/o di preesistenti condizioni morbose che si presume possano essere aggravate dalla gravidanza. - Condizioni di Lavoro e Ambientali Non Idonee e Lavoro Faticoso, Insalubre o Pericoloso
Visualizza la documentazione necessaria a presentare la domanda sul sito del Ministero del Lavoro.
A quanto ammonta l’indennità per la maternità anticipata e chi deve pagarla
Nei periodi di astensione dal lavoro obbligatoria, spetta alla dipendente in questione un’indennità erogata dall’ente nazionale INPS he possa coprire i periodi di assenza dal lavoro. Da parte dell’azienda, infatti, non c’è l’obbligo di erogare alcun sostentamento economico. Questo incentivo sarà anticipato da parte dell’azienda all’interno della busta paga, dopo di che l’impresa, recupererà l’importo versato quando andrà a pagare l’F24 dell’anno corrente. I casi in cui l’INPS eroga direttamente la pensione all’interessato, sono molto rari.
Nel caso tu desideri approfondire il tema delle buste paga, ti consigliamo di leggere i nostri approfondimenti specifici: "Buste paga INAIL" (clicca qui per approfondire l'argomento), "Come redigere una busta paga" (clicca qui per saperne di più) e "Calcolo delle detrazioni con figli a carico" (clicca qui per leggere l'approfondimento).
L’importo di indennità è equivalente all’80% della retribuzione giornaliera, moltiplicata per il numero dei giorni indennizzabili durante il periodo di assenza del dipendente.
L’indennità comprende tutte le giornate del periodo di maternità tranne:
- Le domeniche e le festività nazionali
- Le festività nazionali che cadono di domenica.
A chi spetta l'assegno di maternità?
L’assegno di maternità spetta se:
- la lavoratrice già gode di una tutela previdenziale ed ha versato almeno tre mesi di contributi
- la madre è disoccupata;
- qualora la lavoratrice abbia interrotto il rapporto di lavoro per dimissioni durante il periodo di gravidanza
L’assegno di maternità dello Stato è rivalutato annualmente sulla base delle variazioni dell’indice ISTAT sui prezzi al consumo. L’importo per il 2023 è in fase di aggiornamento. L’assegno statale di maternità nel 2022 è stato fissato nella misura di 2.183, 77 € (Circolare INPS n. 35 del 04 marzo 2022). Se non vi sono tutele economiche, l’ammontare spetta per intero, altrimenti si eroga a integrazione. In caso di parti gemellari, affidamenti o adozioni plurime, l’importo dell’assegno di maternità dello Stato viene moltiplicato per il numero dei figli nati, adottati o affidati.
Se sei interessato a garantire la tua sicurezza e i tuoi diritti lavorativi, scopri l'importanza dell'ispettorato del lavoro.
Assegno di maternità dei Comuni
Diversamente dall’assegno di maternità dello Stato, quello dei Comuni – detto anche assegno di base – è una prestazione si sostegno che è concessa dai comuni ed erogata dall’INPS ed è rivolto a tutte le donne che non rientrano in nessuna delle categorie contemplate dai requisiti necessari per ottenere l’assegno di Stato. In particolare il sussidio è rivolto alle donne con ISEE basso ricalcolato ogni anno su variazione dell’Indice ISTAT dei prezzi al consumo.
Come fare domanda?
L'assegno di maternità dei Comuni spetta ai soggetti sopracitati e alle cittadine extracomunitarie con lo
status di rifugiate politiche, anche se non sono in possesso della carta di soggiorno.
Tale assegno spetta se:
- la madre non gode di alcuna indennità ad altro titolo
- vive in un nucleo familiare con indicatore della situazione economica (ISEE) inferiore a determinati tetti. Per il 2009, il valore ISEE per un nucleo familiare di tre persone non deve superare i 32.222,66 euro.
Importante: l’assegno di maternità spetta per ogni figlio. L'importo dell'assegno di maternità del Comune è pari a 309,11 € mensili per cinque mesi, per complessivi 1.545,55 €.
La domanda dell'assegno di maternità del Comune va chiesto al Comune di residenza, entro sei mesi dalla nascita del bambino o dall'ingresso in famiglia in caso di adozione, e viene pagato dall'Inps.
Anche l’assegno di maternità dei Comuni viene stabilito e ricalcolato di anno in anno in base all’inflazione. Gli importi per il 2023 non sono stati ancora resi noti, ma nel 2022, l’assegno ammontava a 354,73 € per 5 mensilità per un totale di 1773,65 € corrispondenti anche al limite ISEE. In caso di percezione di trattamenti previdenziali inferiori a quelli previsti del Dl 51/2001, articolo 74, il richiedente può chiedere la differenza sull’importo già ricevuto tramite specifica dichiarazione.
Requisiti necessari per ricevere l'assegno di maternità
Tra le misure di sostegno alle famiglie a basso reddito c’è l’assegno di maternità (DLgs. 151/2001 Capo XIII). Tale assegno può essere a carico dello Stato, e quindi erogato e concesso direttamente dall’Inps, oppure può essere a carico del Comune ed essere concesso, quindi, dai Comuni ed erogato dall’Inps in presenza di determinati requisiti reddituali. Qui di seguito illustreremo l’assegno per maternità dello Stato.
E per il padre?
E’ necessaria, infine, la sussistenza di regolare soggiorno e residenza in Italia del padre - o del coniuge della deceduta - e che il minore si trovi presso la sua famiglia anagrafic.
Maternità, gli altri bonus e incentivi
Dal 2020, tuttavia, il bonus diventa universale, questo significa che verrà corrisposto a tutte le famiglie italiane, senza badare al reddito come invece avveniva in precedenza. Sarà, piuttosto, il valore del bonus a cambiare in base all'ISEE minorenni.
Il bonus bebè, dunque, varierà in questo modo:
- avrà un valore pari a 1.920 euro per la durata di un anno se il nucleo familiare del genitore che ne fa richiesta non supera i 7.000 euro annui;
- avrà un valore pari a 1.440 euro se invece il nucleo familiare del genitore che fa domanda per l’assegno di maternità supera i 7.000 euro, ma è inferiore ai 40.000 euro;
- avrà un valore pari a 960 euro se, infine, il nucleo familiare a cui appartiene il genitore che fa domanda per il bonus supera con il proprio ISEE i 40.000 euro annui.
La legge di bilancio, quindi, ha individuato sostanzialmente tre fasce di reddito ma in ogni caso viene confermato anche un valore del bonus del 20 per cento in più se nel corso del 2020 c’è anche un altro figlio. Tuttavia, queste non sono le uniche novità del bonus bebè visto che a partire dal prossimo anno, il 2021, a meno di ulteriori cambiamenti in corso d’opera, il governo intende arrivare a quello che viene definito fin da ora come l’assegno unico. Questo significa, tradotto in parole povere, sintetizzare tutte le diverse agevolazioni previste in caso di maternità e paternità, tra congedi, bonus, agevolazioni e assegni, in una sola formula che vada a semplificare e integrare con un unico strumento a 360 gradi quanto oggi è invece frastagliato e differenziato. L’intento, dunque, è proprio la semplificazione del sistema di agevolazioni pensato per sostenere e incentivare la natalità in Italia. Con l’assegno unico, quindi, si avrebbe un’agevolazione pensata per ciascun figlio a carico. Anche in questo caso l’assegno di maternità verrebbe erogato per la durata di 12 mesi e con un importo di 240 euro per ogni figlio minore e di 80 euro per ogni figlio over 18 che sia ancora a carico del nucleo familiare. Un’altra idea è anche quella di introdurre un sistema unico di agevolazioni che non superi i 400 euro al mese per ogni bimbo che non superi i 3 anni di età.
A chi spetta l’assegno di maternità?
L’assegno unico e universale 2023
Per assegno unico e universale alle famiglie si intende un aiuto economico rivolto indistintamente a tutte le famiglie con figli a carico a partire dal 7° mese di gravidanza e fino al compimento del ventunesimo anno di età del figlio/figlia (biologico, adottivo o in affidamento). Non vi sono limiti di età per i figli con disabilità.
L’assegno è unico poiché assorbe – dal marzo 2022 – tutte le altre misure a sostegno delle famiglie, ovvero sostituisce il bonus premio nascita o adozione (noto anche come “bonus mamma domani”), l’assegno di natalità (o bonus bebè), l’assegno al nucleo familiare con almeno tre figli, nonché gli assegni familiari e le detrazioni fiscali per i figli a carico fino a 21 anni.
È altresì definito universale perché è garantito a tutte le famiglie nella misura minima e su base reddituale.
L’assegno è erogato mensilmente e calcolato in base all’ISEE, non obbligatorio. In assenza di ISEE tra la documentazione da allegare, si avrà diritto all’importo minimo previsto.
Coloro che hanno presentato la domanda per l’assegno universale dopo il 30 giugno 2022, il medesimo sarà erogato a partire dal mese successivo la presentazione della domanda.
Dal 1° marzo 2023, coloro che nel periodo compreso tra gennaio 2022 e febbraio 2023 hanno regolarmente presentato la domanda di assegno unico e universale (senza che questa sia mai stata rifiutata, revocata, decaduta) continueranno a ricevere in automatico la misura di sostegno senza necessità di rinnovare e inoltrare l’istanza. Le tappe in sintesi sono le seguenti:
- chi riceve l’assegno fin dal primo istante, e con il nucleo familiare invariato, a febbraio 2023 non deve più presentare una nuova domanda, ma solo l’ISEE entro il 30 giugno 2023;
- chi riceve l’assegno, ma il nucleo familiare è cambiato, a febbraio 2023 dovrà presentare una domanda di adeguamento insieme all’ISEE entro il 30 giugno 2023;
- chi non presenta l’ISEE percepisce solo l’importo minimo previsto per legge e che viene ricalcolato di anno in anno su base ISTAT;
- chi non percepisce l’assegno e desidera farne richiesta, deve presentare una domanda entro il 30 giugno 2023 per richiedere anche gli arretrati. Altrimenti, se la domanda viene presentato successivamente ed entro il 1° luglio 2023, il sostegno decorre dal mese successivo a quello della richiesta e senza diritto a percepire gli arretrati.